Famiglia, separazioni e senso di appartenenza: il grande rimosso della nostra epoca

Pubblicato il 26 maggio 2025 alle ore 09:17

Oggi ho deciso di scrivere qualcosa di diverso. Non parlerò di geopolitica, di finanza tossica, né delle ennesime pantomime parlamentari. Parlerò di un tema che non troverete in prima pagina, ma che scava più in profondità di molte "emergenze" sbandierate in tv. Un tema che conosco in parte sulla mia pelle, e che per questo affronto con una particolare onestà intellettuale: il rapporto tra legami familiari e la condizione, sempre più diffusa e trascurata, delle persone separate.

Il lento sgretolarsi del vincolo familiare

Siamo figli di un tempo accelerato, iperconnesso ma disancorato. I legami familiari si sono fatti deboli, evanescenti. Non per colpa del “progresso” – che, se reale, libera – ma per una combinazione tossica di alienazione lavorativa, culto dell’io performante e crollo di ogni senso comunitario.

La famiglia, intesa come nucleo emotivo di cura e appartenenza, è diventata in molti casi un coacervo di solitudini co-abitanti. Quando ci si incontra è spesso per dovere, non per desiderio. Quando si parla, si comunica con frasi brevi, funzionali, mai intime. E quando ci si allontana, spesso non ci si cerca più. Il tempo – vera ricchezza oggi – manca. Ma manca soprattutto la volontà. Manca il senso di appartenenza, quel “noi” che tiene insieme anche nei momenti più bui.

Ma è nel mondo dei separati che questa crisi assume contorni più cupi, sistemici, e drammaticamente sottaciuti.

Separazioni e devastazione emotiva: il fallimento istituzionale del nostro tempo

Chi si separa oggi, spesso, non è semplicemente una persona che si lascia alle spalle un amore finito. È, molto più frequentemente, un individuo che entra in una zona grigia dove la legge è cieca, le istituzioni sorde e la cattiveria umana può agire indisturbata, anche – e soprattutto – se esercitata dentro le pieghe di quella stessa legge.

In nome del sacrosanto principio dell’equilibrio tra genitori, troppo spesso si permette che uno dei due venga genitorialmente annientato, privato di dignità, ridotto al ruolo di bancomat o spettro. I figli? Colpiti collateralmente, come danni accessori. Ma la parola "accessori" è una bestemmia, perché il danno psicologico ai figli in queste dinamiche può essere profondo, persistente, devastante. Eppure, salvo rari casi, nessuno se ne fa carico con la serietà necessaria.

Gli strumenti messi a disposizione dai tribunali e dai servizi sociali sono inadeguati. Le risorse, scarse. Gli operatori? Spesso eroici nella loro buona volontà, ma abbandonati da una politica che non considera questa un’emergenza, perché non porta voti, non fa audience, non genera slogan vincenti. E allora ci si arrangia. Si tenta di fare il massimo col minimo, lasciando spazio a interpretazioni arbitrarie, a decisioni spesso affrettate, a casi che si protraggono per anni nella totale invisibilità istituzionale.

Nel frattempo, nei corridoi dei tribunali e delle stanze dei servizi, si consumano tragedie silenziose. Madri e padri che perdono i figli, figli che si perdono nei vuoti affettivi, famiglie che diventano campi di battaglia dove la logica non è mai la ricostruzione, ma la distruzione dell’altro. Dove la cattiveria può agire impunita, persino premiata da una giustizia che, per come è strutturata oggi, non ha né i mezzi né il coraggio per vedere l’umanità concreta dietro le carte.

Il tabù dell’annientamento genitoriale

Parlare di “genitore annientato” è un tabù. Si teme che farlo significhi schierarsi, e nel nostro tempo nulla è più temuto dell’accusa di partigianeria. Ma in questo silenzio, intere esistenze si consumano nel dolore muto. Ci sono genitori che devono lottare anni per vedere i propri figli qualche ora al mese. Genitori che, pur avendo dato tutto, vengono dipinti come colpevoli solo perché l’altro coniuge è più abile nel manovrare parole, avvocati o apparati.

Questo non è il racconto di qualche caso limite. Questo è il racconto sistemico di una società che ha smarrito il valore della cura, il senso del limite e la capacità di proteggere i più vulnerabili.

Una questione di civiltà

Il mondo dei separati, e in particolare quello dei separati che cercano di essere ancora genitori, dovrebbe essere al centro di un’agenda pubblica che abbia il coraggio di guardare in faccia la realtà. Servono riforme, sì. Ma serve soprattutto una rivoluzione culturale: riconoscere che la guerra tra adulti non può mai giustificare la devastazione dei figli. E che la dignità di chi lotta per esserci, nonostante tutto, va tutelata. Anche quando non ha voce. Anche quando non è “di tendenza”.

Non c’è alternativa al pensiero dominante se non si parte dalle fondamenta. E le fondamenta di una società giusta non sono i mercati, non sono gli algoritmi, non sono le conferenze stampa: sono le relazioni umane. Quelle vere. Quelle che nessuna app potrà mai sostituire.

 

Riccardo Tugnoli

Aggiungi commento

Commenti

Non ci sono ancora commenti.

Crea il tuo sito web con Webador